Il 10 febbraio 2020, il Corriere della Sera pubblica a firma Milena Gabanelli e Simona Ravizza un articolo dal titolo “Perché non si studia cosa provoca il cancro”. Estratti di questo articolo sono poi stati presentati durante il TGLa7 della sera dello stesso giorno. L’articolo contiene errori, imprecisioni e distorsioni che sono state segnalate, da parte di alcuni docenti universitari, ricercatori ed esperti,alle autrici dell’articolo e ai direttori del Corriere della Sera (L. Fontana) e del TGLa7 (E. Mentana). Nonostante un fitto scambio di mail, la sig.ra Gabanelli non ha risposto alle questioni poste e ha corretto pubblicamente solo uno degli evidenti errori contenuti nell’articolo, tramite stringata rettifica nella pagina web dedicata alla puntata all’oggetto. SeTA ritiene che l’informazione corretta deve basarsi innanzitutto su dati debitamente verificati e sulla loro completa descrizione, essendo poi demandata alle persone competenti ed esperte l’interpretazione dei numeri. Non è pertanto accettabile che una giornalista che gode di notevole notorietà e i direttori di testate giornalistiche di rilievo nazionale non riconoscano pubblicamente gli errori fatti e pubblicamente li correggano. In questo modo, non si rende un buon servizio ai lettori, si fornisce una distorta visione della realtà e si mina la fiducia della popolazione sulle attività degli enti pubblici. Per rendere giustizia ai dati, pubblichiamo l’intero carteggio intervenuto con la sig.ra Gabanelli e con il direttore del Corriere della Sera. Il direttore del TGLa7 non ha risposto alla lettera inviata. La pubblicazione di questi documenti è stata rinviata di alcune settimane per le evidenti altre priorità pandemiche in corso. Ma appare palese che gli epigoni di Gabanelli abbiano deciso di “marciare divisi per colpire uniti”. Il riferimento è alle nuove, si fa per dire, trasmissioni della RAI inventate dai medesimi: “Indovina chi viene a cena” (lunedì 13 aprile) e “Report” nuova versione (martedì 14 aprile). Si conferma l’impronta approssimativa, complottista e arrogante che dà voce ad una sola campana, generalmente stonata (leggi: senza copertura scientifica), per ergersi contemporaneamente a Pubblico Ministero, Giudice e Giuria popolare al fine di redigere una precostituita sentenza di condanna senza se e senza ma. Questo intreccio, evidentemente, non è dilettantesco o spontaneistico, ma appare parte di un unico disegno che usa echi e vicendevoli rimandi, per rinforzare messaggi destituiti di dati oggettivi, spesso utilizzando come fondamenti scientifici solo quelli funzionali ai messaggi prestabiliti dalle redazioni, omettendo quelli ad essi contrari. Il minimo comune denominatore della versione originale e delle due “veline” può essere sintetizzato dall’imbarazzata ed imbarazzante chiosa della signora Gabanelli pescata con le mani nella marmellata dei dati sbagliati: “è comunque tanta roba”. L’unità di misura della roba non è, ai più, nota, ma è quello che conta è che sia tanta. Un approccio da predicatore televisivo, indegno di un servizio pubblico e retaggio dell’epoca pre-pandemia quando la comunità scientifica non aveva diritto di parola sui media. Ma i tempi sono cambiati e anche noi abbiamo tanta roba da confutare.